«Ogni giorno si ha una prova del fatto che i versi e i quadri provocano un piacere sensibile; non per questo è meno difficile spiegare in cosa consista tale piacere, che spesso assomiglia all’afflizione e i cui sintomi talvolta sono uguali a quelli di un dolore vivissimo. L’arte della poesia e della pittura non è mai tanto apprezzata come quando riesce ad affliggerci.»
Avevo voglia da tempo di parlare di Ben Shahn, e per farlo ho deciso di iniziare con queste parole di Jean-Baptiste Du Bos (Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura): anche se scritte trecento anni fa, sono senza tempo.
Ben Shahn è un artista che mi riporta ai tempi dell’Università – in questo periodo sono molto più nostalgico del solito – quando lessi alcuni suoi scritti, “L’educazione di un artista secondo Ben Shahn”, in particolare. Nato le 1898 in Lituania, ebreo, emigrato negli Stati Uniti con la famiglia nel 1906, Shahn fa parte di quello che viene definito il Realismo Americano, il fenomeno più vasto e profondo dell’arte americana, prima del famosissimo Espressionismo Astratto. Siamo negli anni ’30 del ‘900, a cavallo tra la grande depressione il New Deal rooseveltiano: in quel periodo gli Stati Uniti vedono svilupparsi una corrente di ispirazione sociale, in cui si cercava di testimoniare gli aspetti più duri della drammatica crisi economica. Protesta sociale o coscienza sociale: nasce così il movimento che ebbe il suo denominatore comune in un espressionismo spesso aspro e risentito, di denuncia. Uno dei grandi di questo movimento fu appunto Ben Shahn. Fu il famoso processo a Sacco e Vanzetti che lo spinse a diventare un artista di impegno sociale; ben 23 furono i dipinti da lui eseguiti su questo tema. Tempere, acquerelli e disegni dedicati a questo argomento che scosse l’opinione pubblica non solo negli Stati Uniti. Esposti nel 1932 a New York, attirarono l’attenzione della critica. Shahn è un pittore che punta in modo particolare sul mezzo grafico, fatto di segno acuto, penetrante con cui riesce a cogliere il senso di una situazione, il significato di una storia. Il colore asseconda questo segno, non sovrapponendosi mai, non vibrando mai, rimane ma non perdendo di brillantezza. La sua visione social-ralista lo portano a prediligere temi umili come sale d’attesa, suonatori di strada, disoccupati, uomini di periferia solitari, vagabondi, operai, feste popolari, bambini che giocano in prospettiva allucinate; il tutto eseguito con straordinaria partecipazione umana. Il riferimento ai coevi Otto Dix o George Grosz è stilisticamente molto forte, ma qui non c’è satira. Solo compassione e ricerca del vero. «La questione della sofferenza è un mistero che porta molte maschere e travestimenti oltre al suo vero volto, ma noi ci scontriamo dappertutto con la sua realtà. Sono certo che, per alcuni di noi, essa è un fardello più profondamente sentito e personale che non per altri. Forse cerco, in modo primitivo, di esorcizzarla dipingendola, forse cerco di comprenderla o forse condividerla. Quale che siano le ispirazioni e le pulsioni di base, sono conscio che l’interesse, la compassione per la sofferenza – sentirla, darle forma – è stata la costante del mio lavoro da quando, per la prima volta, ho preso in mano un pennello.»
In quegli anni il pittore messicano Diego Rivera lo assunse come aiuto per l’esecuzione dell’affresco al Rockefeller Centre a New York; questo tirocinio gli sarà di grande utilità per la sua attività di pittore murale, molto intensa tra tra la fine degli anni Trenta e l’inizio dei Quaranta. Durante gli anni della guerra, nel 1942-1943 Shahn lavorò per l’Office of War Information come grafico propagandistico, ma i suoi lavori mancavano del patriottismo preferito dal governo americano, e solo due dei suoi poster furono pubblicati. Il sentimento anti militaresco della sua arte trovò altre forme espressive in una serie di dipinti del 1944-1945, come Death on the Beach, che raffigura la desolazione e la solitudine della guerra. Negli ultimi anni è stato particolarmente attivo come accademico, ha ricevuto dottorati onorari dalla Princeton University e dalla Harvard University.
Raffaele Boni 2020
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